Tolkien nel 1914-15: La Laurea e l’arruolamento

In primo piano

Approfondimenti degli eventi della vita di J.R.R. Tolkien nel 1914-15: parleremo di: 1) L’ entrata in guerra dell’Inghilterra 2) Il gruppo di amici con cui ha condiviso la maggior parte dei suoi studi al College e in parte anche durante il conflitto mondiale 3) La scoperta della lingua finnica 4) La Laurea in Lingua e Letteratura Inglese

Il Primo Conflitto Mondiale

1) Verso la fine del 1914, l’Inghilterra dichiarava guerra alla Germania. I giovani si arruolavano a migliaia, rispondendo alla chiamata alle armi del Generale Kitchener (kìčinë›, Horatio Herbert lord. – Bally Longford, Kerry, Irlanda, 1850 – Mare del Nord 1916). Tolkien avrebbe voluto restare ad Oxford fino al conseguimento della Laurea, ma datosi che le zie e gli zii si aspettavano che si arruolasse, così come aveva fatto già suo fratello Hilary come trombettiere, si trovò costretto nel farlo. Una disposizione però gli venne incontro in quanto avrebbe potuto continuare a studiare, svolgendo l’addestramento militare nel corpo ufficiali, rimandando così la partenza per il fronte fino al conseguimento della laurea. Rasserenato, iniziò questa doppia vita e fu felice di scoprire che G.B. Smith (suo amico) era stato assegnato anch’egli ai Fucilieri di Lancashire, e avrebbe cercato di farsi arruolare nel battaglione in cui si trovava Smith.

L’addestramento piaceva a Tolkien. Egli scriveva ad Edith quanto lo considerasse “un dono del cielo” : si sentiva in perfetta forma sia fisica che mentale, infatti presto iniziò ad adattare la vicenda di Kullervo trasformandola in una leggenda in versi e prosa (il poema originale Kalevala era in lingua finnica). Kullervo, sfortunato giovane che ignaro commette incesto: quando se ne rende conto si suicida gettandosi sulla sua spada.

Società Barroviana e del Club del Tè

2) La TCBS, iniziali di Tea Club and Barrovian Society (Società Barroviana e del Club de Tè),era una società informale e semisegreta formata da Tolkien, Robert Quilter Gilson (25 Ottobre 1893- 1 Luglio 1916), Geoffrey Bache Smith (18 Ottobre 1894-3 Dicembre 1916) e Christopher Wiseman (20 Aprile 1893-25 Luglio 1987) mentre frequentavano la King’s Edward’s School di Birmingham nel 1911. Questa sigla era una allusione all’abitudine dei quattro di bere tè nella biblioteca della scuola di nascosto, e presso i magazzini Barrow’s, vicino alla scuola.

Tolkien e l’amicizia

Per Ronald la scuola e gli amici erano il centro della sua vita. Nel periodo di veto forzato da Padre Francis (di cui abbiamo parlato nella prima lettera), che corrispondeva a quello in cui la maggior parte dei giovani scopre la compagnia femminile, John cercava di dimenticare o quanto meno assopire le fantasticherie romantiche per Edith, condividendo le scoperte e gli studi con le persone del suo stesso sesso. D’altronde, la società in cui si era tuffato era composta interamente da uomini. Alla King Edward’s, nel 1911, la biblioteca scolastica era amministrata da un gruppo di “Bibliotecari”: Tolkien, Wiseman, Gilson, il figlio del preside e altri tre o quattro.

Christopher Wiseman, sessantaquattro anni dopo, riportò a proposito dell’origine di questo circolo:

«[…] Gli esami proseguivano […] e se non ne avevi uno da sostenere, non avevi niente da fare. Perciò cominciammo a prendere il tè nella biblioteca della scuola. […] Facevamo bollire l’acqua su un fornellino ad alcool. […] mentre gli addetti alla pulizia si affaccendavano in giro con scope, secchi e spazzoloni, gettando segatura per terra, finivamo per buttare le foglie del tè nei loro secchi. Durante il periodo estivo, la nostra meta preferita per il tè erano i Magazzini Barrow, in Corporation Street. Nella sala da tè […] c’era in tavolo da sei tra due lunghe panche. Questo divenne il nostro posto di ritrovo preferito e prendendo in prestito il nome del luogo, diventammo la Barrovian Society».

Christopher Wiseman

Gilson aveva ereditato dal padre un volto espressivo e una mente sveglia, appassionato di disegno e pittura (sopratutto di quella Rinascimentale). Wiseman era un esperto di scienze naturali, di musica, matematica e compositore. John Ronald era l’esperto di idiomi germanici, di filologia e di letteratura nordica. Tutti e tre avevano in comune una profonda conoscenza della letteratura greca e latina. Più tardi si aggiunse Smith, più giovane sia di Tolkien che di Gilson. Non era un classicista ma si integrò subito con gli altri tre poiché aveva una competenza esemplare e abbastanza rara alla King Edward’s: conosceva la letteratura inglese e in particolare la poesia ed era un aspirante poeta in proprio.

La scoperta della lingua Finnica

3) Tolkien scoprì il finnico nel 1912, quando ancora frequentava l’Exeter College, nel periodo in cui non poteva scrivere o vedere Edith, parecchi mesi prima della maggiore età. Sperando di impararlo fin da quando aveva letto il Kalevala (nella traduzione inglese), cercò e trovò una grammatica finnica, con l’aiuto della quale iniziò a leggere il poema in lingua originale. Disse in seguito: «Fu come scoprire una cantina piena di vini eccellenti, mai assaggiati prima. Finii quasi per ubriacarmi». L’effetto che produsse sulla sua inventiva fu fondamentale e duraturo. Abbandonò il neogotico e cominciò a creare un idoma personale molto influenzato dal finnico. Era questa la lingua che in seguito sarebbe apparsa nelle sue storie come «Quenya» . Esordì in una associazione culturale del College parlando della mitologia finnica:

«Queste ballate sono piene di quel primitivo sottobosco che la letteratura europea ha tagliato, ridotto e ridisposto con diversa qualità e pienezza per molti secoli. Vorrei che fosse rimasto più materiale, e qualcosa, almeno, che potesse attribuirsi alla cultura inglese».

J.R.R. Tolkien

Un concetto interessante: Già pensava, forse, di creare lui stesso quella mitologia per l’Inghilterra.

Continuò a lavorare sul finnico e nel 1915 era pervenuto ad un buon grado di complessità. Sentiva questo suo idioma personale come un “passatempo un po’ folle”, e più ci lavorava, più sentiva il bisogno di scrivere una “storia” che lo sostenesse. Non poteva esistere un idioma senza un popolo che lo parli. La sua “bislacca lingua fatata” si fece strada e Tolkien decise definitivamente che questa era la lingua parlata dagli esseri fatati, o Elfi, che Éarendel incontrò nel suo strano viaggio (come spiegato nella seconda lettera).

First Class Honours

4) Nel corso del 1915, oltre a dedicarsi alla fase embrionale della sua mitologia (iniziando a lavorare sul Lay di Éarendel, poesia che includeva alcuni elementi che appariranno anche nel Silmarillion), Tolkien era occupato anche nel prepararsi per lo Schools, l’esame finale di Lingua e Letteratura inglese. Nella seconda settimana di Giugno nel 1915 (giorno non noto) ottenne una First Class Honours. Nel Regno Unito la First Class è la più alta classificazione di onorificenze e indica un alto rendimento accademico. Con il massimo dei voti, Tolkien era abbastanza sicuro che, a guerra finita, sarebbe riuscito ad ottenere un incarico accademico.

J.R.R. Tolkien – Lettere 1914/1973 Ed. Bompiani 2017 (A cura di H. Carpenter e C. Tolkien) pag. 17, pag. 688 trad. Lorenzo Gammarelli

Humphrey Carpenter – J.R.R. Tolkien – La Biografia. Ed. Lindau 2009 Cap 4 “TCBS e altro” pag. 74-75-76 Cap. 5 “Oxford” pag. 95 Cap. 7 “Riuniti” pag. 117-118-123-124 trad. Franca Malagò e Paolo Pugni

Il Ritorno del Rospo Smeraldino

Pineta Mirtina: a lavoro per tutelare il rospo smeraldino

Fonte: Pagina istituzionale Fb Comune di Ischia

Gli operatori della “Ischia Ambiente” sono a lavoro da giorni all’interno della Pineta Mirtina per ripulire le vasche, habitat naturale del rospo smeraldino, unico anfibio delle isole del Golfo di Napoli, oggi a rischio estinzione.
L’Assessore all’ambiente Carolina Monti attenzionata da Lilly Cacace, presidente dell’Associazione “Gli alberi e noi” e dalla giornalista Isabella Marino, dopo un colloquio e un sopralluogo con il botanico Giuseppe Sollino, ha prontamente dato mandato a Ischia Ambiente di sradicare il giacinto d’acqua, pianta fortemente infestante, dalle vasche abitate dai rospi e luogo della loro riproduzione.
«Durante il sopralluogo abbiamo ritrovato tanti rospi, più di quanti immaginavamo. È dovere di tutti, adesso, avere ancora più cura del suo habitat, è un esemplare che va protetto.
Le vasche sono state ripulite da pietre, bottiglie e oggetti vari e sono pronte ad accogliere nuovi girini. Insieme alle associazioni ambientaliste stiamo pensando ad altre iniziative per far conoscere e proteggere questo particolare anfibio». Così l’Assessore all’ambiente Carolina Monti.

Ischia, l’isola di Tifeo

Gea immane, come figlio più giovane partorì Tifeo, […] dalle spalle gli nascono cento teste di serpente, di terribile drago, di lingue nere vibranti; e a lui dagli occhi, nelle teste prodigiose, ardeva sotto le ciglia fuoco scintillante; fuoco ardeva da tutte le teste come fissava lo sguardo;

(Esiodo, Teogonia, vv.821-829)

Agli occhi degli antichi greci un’isola lontana e selvaggia come quella d’Ischia doveva suscitare sentimenti ed emozioni contrastanti: la curiosità verso una terra sconosciuta e dagli incantevoli scenari naturali, verso la quale si navigava con il proprio bagaglio di ansie e speranze per una nuova vita, migliore di quella che si lasciava in madrepatria, una promessa che la fertilità e la generosità di quella terra non avrebbero disatteso. Ben presto tuttavia essi sperimentarono, con un misto di meraviglia e terrore, quanto essa possa essere terribile: frequenti terremoti, eruzioni vulcaniche, fiumi di lava che sgorgavano dalle viscere della terra insieme ad intense esalazioni fumaroliche e ad acque bollenti. Una terra irrequieta che gemeva e sputava fuoco proprio come un terribile mostro.

Camillo De Vito, Eruzione del Vesuvio 1812

Come si sa, questi fenomeni erano quelli che più colpivano gli uomini: imprevedibili e misteriosi influivano notevolmente sulla loro vita. Così essi, incapaci di comprenderli e controllarli, inventarono i miti, gli dèi, gli eroi e gli esseri mostruosi affinché potessero trovare una spiegazione, un punto di riferimento al quale appellarsi per mantenerne la benevolenza, o da cercare di placare quando si facevano minacciosi. Così i primi greci d’Occidente attribuirono quegli sconvolgenti fenomeni naturali alla presenza sotto l’isola del mostruoso Tifeo che gemendo scuoteva la terra sotto i loro piedi, dalle sue bocche eruttava lava incandescente, con il suo sospiro alimentava le fumarole e le sorgenti di calda acqua termale di cui è ricca l’isola. Ma chi era questo titano ribelle che osò sfidare nientemeno che Zeus, il signore degli dei?

Zeus scaglia il fulmine contro Tifone, hydria calcidese a figure nere, 550 a.C. Staatliche Antikensammlungen.

Il mito di Tifeo è uno dei più suggestivi della mitologia greca e di esso ne esistono diverse varianti e versioni. Egli, conosciuto anche con il nome di Tifone, è il mostruoso figlio di Gea e del Tartaro (Esiodo, Teogonia vv.820-821; Pindaro, Pitiche, I,15; Igino, Favole 152). Altre versioni, invece, lo vogliono nato dalle uova che Crono consegnò a Gea, oppure essere figlio di Era e allevato da Pitone a Delfi (Inno ad Apollo, vv 305 sgg.).

In ogni caso la tradizione vede un legame profondo del mostro con la terra e il sottosuolo, tanto da poterlo considerare una personificazione allegorica del vulcanesimo e della sua forza distruttiva (si tenga anche presente che il nome Tifeo etimologicamente è da mettere in connessione con il verbo greco τύφειν, “fare fumo”).

Il suo aspetto era decisamente inquietante: era così alto da superare le vette dei monti e da toccare con il capo le stelle, fino alle anche aveva forma umana e dalle spalle gli spuntavano cento teste di serpenti, dalle anche in giù il suo corpo era come due giganteschi serpenti attorcigliati. Si diceva che la voce delle sue cento teste fosse spesso comprensibile agli dèi, ma talvolta era un muggito simile a quello del toro o al ruggito del leone, spesso somigliava all’abbaiare del cane o un sibilo; tali voci riecheggiavano tra i monti.

Tutto il corpo del mostro era alato. I suoi capelli e la sua barba incolti si agitavano al vento mentre fiamme ardevano nei suoi occhi. Sibilando e muggendo, egli lanciava pietre infuocate contro il cielo e dalla sua bocca divampavano fiamme. Un vero flagello non solo per i mortali ma anche per gli dèi tanto che essi fuggirono terrorizzati quando il titano giunse sull’Olimpo.

Anche Zeus scappò, ma fu severamente redarguito dalla figlia Atena, la quale gli ricordò come da lui dipendesse il destino degli dèi e di tutta l’umanità. Iniziò così una durissima lotta che vide il titano soccombere sotto i potenti colpi della folgore di Zeus.

Il Gigante Tifeo incatenato sotto l’isola d’Ischia (da Camillo Eucherio de Quintiis, Inarime seu de balneis Pithecusarum, Napoli 1726)

A questo punto la tradizione vuole Tifeo sprofondare schiacciato sotto l’Etna oppure, come riportano Pindaro (Pitiche, I, vv. 13-28) ed Eschilo (Prometeo Incatenato, vv. 351-372), sotto tutta la regione vulcanica che si estende da Cuma con i Campi Flegrei sino alla Sicilia.

Per gli autori latini invece la sede di Tifeo è Ischia, come ci viene testimoniato da Virgilio (Eneide, IX, 715-713). Certo è che questo mito ha origini molto antiche tanto che già Omero vi fa riferimento collocando Tifeo nella “terra degli Arimi” (Iliade II, 780-783) e “fra gli Arimi” lo troviamo anche per Esiodo (Teogonia vv. 295-308) quando si unisce in amore con Echidna. Quando furono composte queste opere, l’immaginario greco poneva il luogo degli Arimi nel Vicino Oriente, in una regione vulcanica della Cilicia.

Una localizzazione che in seguito all’espansione dei Greci in Occidente, finì con il tempo per essere spostata presso Ischia o in Sicilia, dove il Monte Epomeo o l’Etna parvero ai primi coloni la sede perfetta in cui collocare il luogo della prigionia di Tifeo. In tal modo accadde che la greca Pithekoussai venne ad acquisire il ruolo di “testa di ponte” di questo mito in Occidente, così come chiarito dallo studioso locale Giovanni Castagna (La Rassegna d’Ischia 6/98, pp. 3-9), oltre al poetico nome di Inarime consacrato da Virgilio.

  • Testi a cura dell’archeologo Francesco Lamonaca