Tom Bombadil a cena con gli Hobbit – il racconto (26 settembre 3018 C.C.)

Una porta si aprì e Tom Bombadil entrò. Non portava più il cappello, e foglie autunnali incoronavano la sua folta capigliatura castana. Rise, e avvicinatosi a Baccador le prese una mano.

Ecco la mia bella dama!, disse, inchinandosi davanti a lei. Ecco la mia Baccador tutta vestita di verde e d’argento e cinta di fiori! È apparecchiata la tavola? Vedo crema gialla e miele, e pane bianco e burro; vedo riuniti assieme latte, formaggio, verdi erbe e bacche mature. Sarà sufficiente per noi? È pronto il nostro pranzo?”

Il pranzo è pronto, rispose Baccador; ma i tuoi ospiti forse non lo sono!

Tom batté le mani esclamando:

Tom! Tom! I tuoi amici sono stanchi e te ne sei scordato! Venite, venite, miei gioiosi amici, Tom vi porterà a rinfrescarvi! Via lo sporco dalle mani e la fatica dagli stanchi visi! Gettate via i vostri manti fangosi e pettinate i nodi dei capelli!

Aprì la porta e si fece seguire lungo un piccolo corridoio che in fondo curvava ad angolo retto. […] Quattro morbidi materassi, dalle bianche coperte rimboccate, erano stesi per terra uno accanto all’altro. Alla parete opposta c’era una lunga panchina munita di bacinelle di ceramica e di brocche piene d’acqua calda e fredda. Soffici pantofole verdi erano preparate ai piedi di ogni letto.

(“He is.” — Goldberry, upon being asked who Tom Bombadil is. Art by Anke-Katrin Eissman)

Lavati e rinfrescati, gli Hobbit si sedettero poco dopo a tavola dove Baccador e il Messere avevano già preso posto ai due capi. Il pasto fu lungo e gioioso, e benché gli Hobbit divorassero come soltanto uno Hobbit affamato sa divorare, c’era di tutto in abbondanza. La bevanda che empiva le loro ciotole pareva acqua fresca e pura, e tuttavia li inebriò come vino, dando loro voglia di cantare. Gli ospiti si accorsero improvvisamente che il canto sgorgava spontaneamente dalle loro labbra, quasi fosse più semplice e naturale cantare che parlare.

J.R.R. Tolkien – Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello, cap. VII, “Nella casa di Tom Bombadil

In copertina: Tom Bombadil by Brothers Hildebrandt

Il Balrog – 25 Gennaio 3019

Il racconto dello scontro tra il Cavaliere Bianco ed il demone Balrog nelle profondità della montagna di Moria

“Dicci almeno ciò che vuoi, e ciò che il tempo permette”! pregò Gimli. “Suvvia, Gandalf, narra il tuo viaggio col Balrog!”

Non pronunziare questo nome!”, esclamò Gandalf; e parve che per un momento un’ombra di dolore gli offuscasse il volto, ed egli rimase muto, vecchio come la morte. “Caddi per molto tempo”, riprese infine lentamente, come se riandare indietro con la mente gli fosse difficile. “Caddi per molto tempo, e lui con me. Il suo fuoco mi avvolgeva. Avvampai. Poi precipitammo nelle acque profonde e tutto fu buio. Erano fredde come il mare della morte, e mi ghiacciarono quasi il cuore”.

Balrog: fuoco, fango e melma

“Profondo è l’abisso varcato dal Ponte di Durin, e nessuno mai lo ha misurato”, disse Gimli.“ Tuttavia ha un fondo, al di là della luce e di ogni conoscenza”, disse Gandalf. “Ivi giunsi infine, nelle estreme fondamenta della pietra. E lui era ancora con me. Il suo fuoco era spento, ma ora si era tramutato in un essere di fango e melma, più forte di un serpente strangolatore.

“Lottammo a lungo nelle profondità della viva terra, ove il tempo non esiste. Sempre mi afferrava e sempre io lo colpivo, e infine fuggì attraverso oscure gallerie. Non erano state scavate dal popolo di Durin, Gimli figlio di Glóin. Giù, molto più giù dei più profondi scavi dei Nani, esseri senza nome rodono la terra. Persino Sauron non li conosce. Essi sono più vecchi di lui. Adesso io ho camminato in quei luoghi, ma non narrerò nulla che possa oscurare la luce del sole. Disperato com’ero, il mio nemico era l’unica speranza che avessi, e lo inseguii afferrandogli le caviglie. Così mi condusse dopo molto tempo nei segreti passaggi di Khazad-dûm, che conosceva sin troppo bene. Poi continuammo a salire, sempre più in alto, e giungemmo all’Interminabile Scala”. “Un grande fumo s’innalzò intorno a noi, vapori e foschie si sprigionarono. Il ghiaccio cadde come pioggia. Scaraventai giù il mio nemico, e lui precipitando dall’alto infranse il fianco della montagna nel punto in cui cadde. Allora fui avvolto dall’oscurità, errai fuori dal pensiero e dal tempo, e vagabondai lontano per sentieri che non menzionerò.

“Infine fui rimandato indietro nudo, per un breve tempo, finché la mia missione non sia compiuta”

Estratto da: J.R.R. Tolkien, “Il Signore degli Anelli” – Le due Torri, capitolo “Il Cavaliere Bianco”, pag. 552-553 (ed. Bompiani Vintage)

In copertina: The Shadow and the Flame ( LOTR ) by AnatoFinnstark on DeviantArt

Il bacio di Ombromanto

“Quello è Ombromanto, il capo dei Mearas, principi dei cavalli, e nemmeno Théoden, Re di Rohan, conobbe mai un destriero così bello. Miratelo scintillare come argento, e galoppare liscio come un fiume che scorre veloce! Viene per me: è il cavallo del Cavaliere Bianco. Combatteremo insieme”.

Mentre il vecchio stregone parlava, il grande destriero salì di volata il lungo pendio innanzi a loro; il suo manto brillava e la criniera ondeggiava al vento veloce. Gli altri due lo seguivano, ma alquanto lontani. Non appena Ombromanto scorse Gandalf, rallentò l’andatura e nitrì con voce potente; poi, dopo un breve tratto, curvò la fiera testa e strofinò le grandi narici contro il collo del vecchio stregone.

Gandalf lo accarezzò.

“Siamo assai distanti da Gran Burrone, amico mio”, disse; “ma tu sei saggio e veloce e arrivi nel momento del bisogno. Galoppiamo ora via insieme, senza più separarci in questo mondo!”.

John Ronald Reuel Tolkien, passi tratti da “Il Signore degli Anelli”, Le due Torri, cap. V, “Il Cavaliere Bianco”